Visualizzazione post con etichetta cucina. Mostra tutti i post
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21 febbraio 2025

Il gulasch triestino di Maria Stelvio

Il gulasch alla triestina è un normale gulasch ungherese però impiattato con gnocchi o pasta (in primis i fusi istriani) o polenta.
Lo si trova nelle trattorie popolari. A sx il gulasch coi gnocchi come veniva proposto nella vecchia trattoria "Bottazzo" in Val Rosandra (ormai chiusa) e a dx la versione della "Mareta" di Martinscica, sull'isola di Cherso (che invece gode di ottima salute).


Il suo libro, dato alle stampe nel 1927, rimane ancora oggi un riferimento
fondamentale per chi ama la tradizione culinaria triestina.
"Gulasch" è la grafia usata nei paesi di lingua tedesca (serbocroato gulaš; sloveno golaž; romeno gulaș; polacco gulasz; ceco e slovacco guláš).
👉Sono tutti adattamenti dell'ungherese gulyás, aggettivo derivato da gulya "mandria di bovini", che nella gastronomia ungherese indica una preparazione utilizzata soprattutto per la carne bovina.
I tagli più adatti sono in genere ogni parte morbida come il muscolo).

7 gennaio 2025

La cucina di guerra di Maria Stelvio (l'edizione del 1942 aveva una sezione "la guerra in cucina")

La notorietà del suo "Cucina triestina - metodo e ricettario pratico-economico" è via via cresciuta col moltiplicarsi delle edizioni.
"La guerra in cucina": la edizione del 1942 ospitava anche questa sezione, riservata ai consigli su come arrangiarsi, riusare e riciclare, risparmiare e riproporre...

La prima edizione della "Cucina Triestina" di Maria Stelvio risale al 1927,
l'ultima (Edizioni Italo Svevo) è del 2000. Recentemente (nel 2022) è usci-
ta una nuova versione della "Cucina Triestina" profondamente modificata
dalle discendenti della autrice, Annika, Marina e Tiziana.
Nell'edizione del 1942 (Edizioni Italo Svevo) vi si parla anche della guerra "in cucina" nella forma di consigli di economia domestica da adottare in tempo di guerra: come risparmiare il gas, impilando una pentola sopra l’altra come se quella in alto fosse il coperchio della prima, come fare a scaldarsi quando è inverno e si è anche sotto i bombardamenti.
👉In questo senso richiama un altro libro di cucina che ho scoperto per caso: "Come cucinare il lupo" della statunitense Mary F.K. Fisher.


22 dicembre 2024

La pecora e l'agnello nella cucina di Cherso

Cherso, isola senza vitelli, senza mucche e senza buoi, si affidava alla carne di agnello, di pecora e di montone per i dì di lavoro e per le feste.
Nel Quarnaro le pecore si allevano allo stato semi-brado, rimangono sempre all'aperto in appezzamenti di sterpaglia e macchia mediterranea delimitati da muretti di pietra a secco (localmente chiamati gromače o mazere) e chiusi da piccoli cancelli, fatti con rami di legno duro, chiamati lesse o lese o ancora zatoke (la foto è di Dubravko Matić).
Pecore semibrade in Istria e sulle isole quarnerine.

Senza un'erba degna di questo nome, cioè falciabile e accumulabile nei fienili, e con poca acqua da bere ogni giorno la mattina e la sera, i bovini erano fuori gioco. Restavano solo gli ovini. Anche in tavola.
Tra pecora e agnello la differenza era che l'agnello veniva consumato fresco, mentre la carne di pecora o di montone poteva anche essere essiccata (kastradína) in una stanza areata esposta al vento di bora, bùra, per essere utilizzata per il brodo e il bollito. Era in questo modo che la si conservava per un uso futuro.
👉Le modalità di consumo dell’agnello erano il lesso e l’umido (gùlaž žvacèt, guazzetto), sugo versato sulla pasta fatta in casa, kèrpice "maltagliati" o fúži "fusilli", l’arrosto in tegame o al forno, mentre non si cuoceva nè sul girarrosto nè sulla griglia.
Per le particolari condizioni di allevamento le pecore di Cherso assumono
durante l'anno un aspetto inaspettato, di selvatichezza mediterranea.
È un cibo invernale che veniva e viene ancora alternato alle minestre di verdure, quella di fagioli in particolare, qui molto presente nei menu feriali.
👉Il pranzo festivo si componeva del brodo di agnello/juha od janjetine, in cui si utilizzano le parti della carne meno pregiate con l’osso o le costole, oppure di pecora/od ovce.
Oggi l'agnello di Cherso viene proposto ai turisti per lo più arrosto, spesso
presentato nella forma iconica della "peka", la antica forma di cottura sot-
to le braci, ormai scomparsa dalle abitazioni locali, che ormai non hanno
più l'indispensabile "fogolàr davèrt" della tradizione istriana.
Con delle prevedibili varianti negli ingredienti o aromi, vengono bollite assieme a cipolla/kapúla, carota/karóta, sedano/merlín, sale/sol, e sempre “un po' conserva di pomodoro che diventi un po' rosso”. Una volta filtrato si consuma cuocendovi riso o pasta.
👉La carne bollita per fare il brodo va a formare il piatto principale definito méso léšo, carne lessa, combi-
Tra i contorni più gettonati le patate lesse schiacciate con la forchetta fino
a diventare un puré, 
kumpír skjacáni, condito con olio di oliva e spicchi di
aglio fresco. Assomigliano alle giustamente famose 
patate in teciache pe-
rò vengono ripassate in padella per "scotàrle".
nando un termine croato a uno romanzo per definire la modalità di cottura. Si aggiunge un contorno di verdure: crauti/kapúci gárbi, insalata/salata, a seconda della stagione.
La coppia minestra-bollito, dove il bollito rappresenta la tipica pietanza preparata per uso domestico, aveva come "prodotto collaterale" il brodo, altro alimento tipicamente casalingo dai mille usi. Il pranzo paesano completo prevedeva il brodo, il bollito di agnello con insalata, pane e vino, mentre nei giorni di festa si aggiunse anche una seconda pietanza di carne, l’arrosto.
Per altre informazioni sull'argomento vedi anche il PDF di Robert Dapit sulla cultura alimentare dell'isola di Cherso.

21 settembre 2024

Come fare le sarme adattandole ai gusti nostrani

La ricetta di Anna Annika Juricic, del gruppo FB "noi che ne piasi cusinar" si è incrociata coi gusti giuliani ma resta semplice e ruspante.
Per ogni foglia arrotolata calcolare 2 cucchiai di carne e un cucchiaio raso di riso per fa-
re l'impasto. "Oltre ai involtini ho messo un pezzo di salsiccia, un pezzo di pancetta, un
pezzo di costa, tutto affumicato".
Ed ecco la ricetta:
"Per 11 sarme ho preso 1/2 kg di carne macinata mista( manzo e maiale ), 11 cucchiai rasi di riso, 1 uovo, 1 aglio tritato, 1/2 cipollina tritata, sale, pepe, 1 cucchiaino di paprika dolce, una spruzzata di olio e una spruzzata di acqua per non far venire impasto troppo duro. Ho impastato bene e ho messo nei fogli di capuccia. Sul fondo della pentola ho messo un paio di foglie spezzettate e sopra ho sistemato gli involtini di capuccia. Oltre ai involtini ho messo un pezzo di salsiccia, un pezzo di pancetta, un pezzo di costa, tutto affumicato, ho aggiunto l'acqua sale, un po di olio e ho messo a cuocere. A metà cottura aggiungerò concentrato di pomodoro stemperato con acqua e una cucchiaiata di farina e finirò di cuocere finché il sugo non si addensa. A parte farò purè di patate che affianco alla sarma."

6 settembre 2024

Polpo e patate cotti nel forno olandese (la "peka")

Il polipo riesce benissimo cucinato "sotto la campana" assieme alle patate, con carote, cipolle e aglio come formula di base, ma anche insieme a finocchio o zucchine, melanzane e peperoni freschi.
Il polipo con le patate cucinato tra le braci del camino, sotto la rustica campana di ferro che lungo la costa dalmata è chiamata "peka" (ma in Croazia si sente parlare anche di zvono, čripnja e anche sače).
Polpo e patate sotto la campana di ferro fucinato.
Diciamo dunque che la cottura lenta sotto il calore delle braci è proprio la morte sua (chè altrimenti di suo sarebbe tosto da trattare, per levargli quella sua consistenza gommosa...).
👉La campana di lamierone di ferro fucinato lavorata ad arte dal fabbro del luogo, in pratica un semplice coperchio a cupola che poi va ricoperto con le braci del focolaio della cucina di casa o del barbecue.

In alto a destra sempre polpo e patate ma cotto nel dutch oven, il "forno olandese". E' una pratica alternativa alla cottura sotto la campana di lamierone "peka" o "čripnja "per chi non avesse a disposizione il camino con le braci. Infatti può essere usato anche sul gas.

9 maggio 2024

Il rustico frico, formaggio fritto dei monti friulani

Formaggio, patate e cipolla. Un piatto unico che viene dalle malghe e che si fa friggendolo in padella nel burro o nello strutto di maiale.
Formaggio, patate e cipolla: sono i tre ingredienti del frico friulano, il pastone alpino dei malgari friulani.
Frico: praticamente un pastone patate, formaggio e zivola.
Si tratta di un piatto del riciclo o del recupero che recuperava gli avanzi.
👉La sua preparazione prevedeva il recupero degli strissulis, i ritagli di formaggio che avanzavano dopo la realizzazione delle forme.
Probabilmente di origine carnica, rappresentava, accompagnato con la polenta, il pasto di boscaioli e contadini durante il lavoro.
Accompagnato dalla polenta gialla e nera.
Oggi viene realizzato di solito col formaggio Montasio in due versioni: quello friabile e quello morbido, entrambe di solito vengono portate in tavola con la polenta.
👉Il frico friabile o croccante è molto sottile e oggi è fatto di solo formaggio (generalmente Montasio) che viene fritto nel burro o addirittura nel lardo, per renderlo più croccante. Oggi si usa invece friggerlo nell'olio bollente.
👉Il frico morbido si prepara con formaggi di diversa stagionatura, e si presenta come una grossa frittata.

Come farlo in casa: 1 cipolla, 1 etto di burro, 1 etto di formaggio stravecchio, 1 etto di formaggio magro, sale e pepe. Mettere in una padella il burro e la cipolla tagliata a fette sottili, rosolare mescolando di continuo per non fare colorare la cipolla; quando è morbida aggiungere il formaggio in precedenza tagliato a fette sottili, un pizzico di sale e di pepe. Cuocere lentamente fino a quando il formaggio si scioglie, a questo punto voltare la frittata e cuocere bene anche l'altro lato, quando è cotto metterlo su un piatto ricoperto di carta assorbente e in seguito servire.

18 aprile 2024

La "spaleta in crosta" fatta nella cucina di casa

E' una variante del prosciutto in crosta de pan triestino, fatta in casa con la zampa davanti del maiale. E Luisa Blandini ci spiega come fare.
Spaleta in crosta. "Eco ancora una foto che go prega mio nipote che me fotografi. Spaleta in crosta." La spalla è la zampa anteriore del maiale, dallo zampetto fino all'articolazione della spalla. In pratica, è l'equivalente del prosciutto, ma della zampa anteriore. (foto e testi verdi sono di Luisa Blandini).
Spaleta in crosta de pan. Nota: "lavrano" è il nome dialettale
del lauro. Da cui viene il croato Lovran per Laurana.

La spalletta di maiale affumicata fa parte della tradizione locale e inevitabilmente rimanda al "prosciutto in crosta de pan" alla triestina che di solito viene fatto con il "cotto di Praga", che è affumicato.
Tornando alla spaleta, ecco i consigli per farla come si deve: "Questa era affumicata la go cusina quanti chili che la ga tante ore con le verdure che va in brodo più lavrano rosmarin e timo, poi la go lasa' che la se rafredi go fato el paston del pan x due chili de spaleta go fato de un chilo de farina, go steso col mattarel go meso su la spaleta spenelada con ovo e un po de senape involtisa che sia tuta coperta col paston. Messo nella staniola e rosti un mezz'oretta poi go apri la staniola e lassa' che El pan prendi color."

10 gennaio 2024

I vasetti con la salsa di rafano della Natureta che si comprano anche in Italia (anche in Valsugana)

Cren e rafano sono quasi la stessa cosa e la slovena Natureta marchia la sua salsa col vecchio nome austroungarico e triestino: ossia Kren.
mangiare in montagna
La salsa di rafano è qui in coppia con la senape dolce per accompagnare dei classici Würstel di maiale con i crauti.
La bianca salsa di Kren sul tagliere con il pane di
segale, i cetriolini Gurken, i salametti e la senape.
Ai fini pratici non è ben chiaro che cosa distingua il rafano o ramolaccio o barbaforte dal cren e viceversa, due radici che fanno parte dello stessa famiglia botanica delle crucifere, la stessa dei ravanelli, della senape e del cavolo. La salsa di cren classica prevede rafano grattugiato, aceto, pangrattato; quella della Natureta dichiara questi ingredienti:
Ingredienti in etichetta: rafano 50%, acqua, olio di colza, aceto d'alcool, zucchero, stabilizzanti: gomma di guar e gomma di xanthan, sale, acidificanti: acido citrico, siero di latte dolce in polvere, latte scremato in polvere, antiossidanti: metabisolfito di sodio, proteine del latte. Può contenere tracce di semi di senape.
I valori nutrizionali per 100 grammi dichiarati:
Energia 631 kj/152 kcal. - Grassi 9,7 gr (di cui acidi grassi saturi 0,7 gr) - Carboidrati 12 gr (di cui zuccheri 9 gr) - Fibre 3,7 gr - Proteine 2,6 gr - Sale 0,38 gr.

24 ottobre 2023

Sebreljski zelodec, la spianata rotonda slovena

Lo Šebreljski želodec è un salume da taglio confezionato con carne di maiale e una certa quantità di pancetta dura (ed è rotondo).
mangiare in montagna
Šebrelje è un villaggio ai piedi delle Alpi Giulie. E Želodec si può tradurre con "stomaco di maiale". In Slovenia i salumi sono un vero cult, oggetto attivo di identità territoriale. Basti citare la "salsiccia di Kranj", oppure la spianata alpina, o anche le numerose suha klobasa, parenti strette dei Kaminwurz e delle luganeghe da taglio.
Šebreljski želodec
Una rotonda "salama" alpina che proviene da una piccola regione monta-
gnosa che sta fra Lubiana e il parco naturale del monte Triglav.

Questo insaccato schiacciato di carne di maiale e pancetta dura, di forma piatta e circolare veniva insaccato in un involucro ricavato dallo stomaco essiccato all'aria ventosa di quelle parti.
👉L'impasto viene insaccato dentro uno stomaco di un maiale svuotato e rinseccolito all'aria del posto. Ed ecco la forma tonda che tanto incanta i turisti. Affumicato a freddo per un paio di giorni e lasciato maturare tra due assi di

22 luglio 2023

Sgranocchiando uno sgombro a 5 nodi, a Lussino

Dalle rive di Lussinpiccolo (Mali Losini) all'isoletta di Sansego/Susak.
Gli sgombri "ala gradèla" con i crauti freschi (il cavolo cappuccio). Con una salsetta di olio e aglio, e niente altro.
In passato 280 ettari dei 350 ettari totali dell'isola erano vigneti e quasi
la metà della superficie era coltivata a Sansigot, chiamato anche Suščan,
un vitigno a bacca rossa autoctono di quest'isoletta sabbiosa. Gli abitanti
sono suddivisi fra i due nuclei, quello alto e quello del porto.

C'é ancora molta semplicità sull'isola "delle canne", l'unica isola di sabbia del Quarnaro; forse é dovuta anche alla forte emigrazione dei decenni scorsi nonché alla scelta, fatta da molti, di spostarsi nei centri maggiori di Cherso-Lussino o anche nelle città della costa.
In avvicinamento a Sansego/Susak. Nel riquadro i resti della "vinaccera",
com'era chiamato lo stabilimento in cui venivano lavorate le uve.
👉A parte le scarse corse del traghetto e dell'aliscafo pubblico, bisogna sapersi arrangiare per organizzarsi il viaggio, l'arrivo e l'esplorazione di questa piccola isola.
👉Prima in barca e poi a piedi, e scordatevi l'auto: qui non se ne sente il bisogno e comunque non potete portarcela. Per il viaggio mi sono arrangiato chiedendo informazioni ai "taxisti acquatici" del porto di Lussinpiccolo.
Volendo ci si può anche fermare a dormire in una "soba". E insomma: l’isola è molto silenziosa e tranquilla e dunque segue i suoi propri ritmi, per noi arrivarci è quasi un problema (però risolvibile).
"D’estate i bagnanti vengono portati sull’isola di Sansego, dove trovano «capanne, tende di lino (per ripararsi dal sole), poltroncine da spiaggia in vimini, comode sedie da riposo e cabine da bagno» (Magno, Alessandro Marzo, "Il leone di Lissa (Italian Edition)", VandA edizioni, Edizione del Kindle).

31 dicembre 2022

Le popolari "landize" ovvero le frittelle di pane vecchio affettato, impanato e fritto nell'olio

Il pan frito si faceva con due uova, un po' di sale, mezzo litro di latte e qualche fetta di pane bianco raffermo, cioè vecchio. Era il "pane fritto".
mangiare in montagna
Fette di pane raffermo intinte in un composto di latte, uova, zucchero, scorza di limone grattugiata, e poi fritte nell’olio o nello strutto bollente. Poggiate sulla carta assorbente venivano spolverate di zucchero o zucchero a velo.

mangiare in montagna
Landize: semplici fette di pane bianco impanate e fritte.
A Trieste si chiamano Schnitte (in tedesco "fetta") e i
l loro nome varia da località in località: pan indorà, landize, schnitte…e così via.
👉La ricetta, invece è quasi sempre la stessa; eccola in una delle tante trascrizioni del dialetto parlato“Due ovi intieri, un poco de sal, mezo litro de late e qualche feta de pan bianco vecio”.
mangiare in montagna
Le landize in padella, fritte in poco burro (o olio) e rigirate.

Le landize erano in buona compagnia: "sulle nostre tavole comparivano piatti altrettanto austriaci, boemi ed ungheresi: liptauer, landize, gulas, sarme, crapfen, cugluf, palacinche, sc'marm, strudel, tac'cherli, putiza, torta Dobos, torta de Karlsbahd" e ancora "salame ungarese, paprica, persuto, fiocheti de butiro, orzo e fasoi con luganighe cragnoline fate venir aposta des Trieste, porcina lesa con rape garbe e fasoi, gnochi de armelini con pasta de puina".

La ricetta di Lilly Venucci.
"Fete de pan suto, più picie, tociade in late con ovo sbatudo. Un poco se struca le fete che non iozi tropo, se le frise in buro caldo fin che le diventa de un bel color dorado. Se le tira fori e se le cosparge de zuchero grosso. Se magna calde."
Traduzione: Immergiamo le fette di pane raffermo nel latte nel quale abbiamo sbattuto le uova.
mangiare in montagna
Pronte per essere mangiate, manca solo una spolverata di zucchero.

Le sgoccioliamo e friggiamo nel burro caldo fino a raggiungere una bella doratura. Scolarle e cospargerle di zucchero grosso.

La ricetta di Fulvia Siscovich Sizzi.
250 gr. di pane tipo filoncino; ¼ litro di latte; 30 gr. di zucchero vanigliato; 2 uova, pangrattato; olio.
Per una buona riuscita di questo dolce usate sempre il pane del giorno prima. Tagliatelo a fette grosse un centimetro, disporle su una terrina e bagnarle senza inzupparle con il latte aromatizzato alla vaniglia o con scorza grattugiata a piacere. Sgocciolarle e passarle nell’uovo sbattuto e nel pangrattato. Friggerle a fuoco vivo lasciandole dorare. Spolverarle con zucchero vanigliato. Questi dolci sono buoni sia caldi che freddi.

19 novembre 2022

La ricetta per fare il Koch di riso

È un dolce della tradizione asburgica di Trieste, di Fiume e dell’Istria. Di facile preparazione, il Koch di riso deriva il suo nome alla lingua tedesca, dato che il verbo tedesco "kochen" significa "cuocere".
koch di riso
Maria Stelvio, "La cucina triestina", Trieste (1.a edizione: 1927), Lint 18esima edizione, 2013. Al numero 998 del ricettario la formula per il Koch di riso.

mangiare in montagna
Un Koch di riso semplicemente tagliato a quadratoni dopo essere stato
cucinato in una teglia rettangolare. Il Koch di riso è un dolce casalingo,
che in famiglia veniva preparato soprattutto per i bambini.
Leggermente diversa da quella di Maria Stelvio é questa é la ricetta, suggerita da una signora istriana:
mangiare in montagna
Una fetta di Koch di riso guarnito con della confettura di mirtilli e more.
Come tutte le ricette della cucina povera, la ricetta varia di luogo in luogo
o addirittura di famiglia in famiglia. Accanto al Koch di riso erano diffusi
anche il Koch di semolino (Grieskoch in tedesco) e il Koch di patate.
"INGREDIENTI. Per 6 persone. ¾ litro di latte, 1/8 di litro d’acqua, 200 gr. di riso, 100 gr. di burro. 80 gr. di zucchero, 4 uova, 2 manciate di uva sultanina sotto Rum, raschiatura di limone.
PREPARAZIONE. Lessate il riso in una pentola col latte e 1/8 di litro d’acqua. Mescolare spesso. Quando il riso è tenero e addensato, lasciarlo raffreddare. Mantecare il burro con lo zucchero, frullatelo assieme ai tuorli fino a ottenere una massa spumosa. Aggiungere un po’ alla volta il riso e la raschiatura di limone e unire lentamente le chiare montate a neve. Cuocere, per ¾ d’ora in uno stampo imburrato e cosparso di pangrattato, in forno a 180 gradi."
👉Nella ricca storia industriale di Fiume operarono anche la Fabbrica per la Pilatura del riso e la Fabbrica d'amido (Società anonima ungherese, fondata nel 1881).

17 ottobre 2022

Crauti e salsiccia (con le rape rosse): è la kmecka pojedina, sul tipo della Bauernschmaus tirolese...

Sapori ed echi di civiltà passate che ritornano spesso nelle cucine di Slovena, Carnia e Tirolo, sia di qua che di là delle Alpi...
mangiare in montagna
La kmečka pojedina richiama, per via delle rape, la brovada di Carnia e Friuli. Ma anche il Bauernschmaus del contadino tirolese ed anche i classici crauti e luganeghe trentini.
mangiare in montagna
Una classica kranjska klobasa impadellata con i crauti e con le rape.
"Kmečka pojedina" si può tradurre con "il banchetto del contadino" ed è uno dei piatti che vengono serviti nei giorni festivi e in altre occasioni importanti.
👉E' fatto di crauti e rape cotte, il tutto ripassato in padella e destinato a far da contorno alla salsiccia casereccia. In aggiunta vengono di solito servite patate lesse, fagioli in umido e funghi.
👉Una versione che prevede la presenza di carne di maiale affumicata la rende ancora più simile al Bauernschmaus tirolese, l'omerico piatto unico a base di carré affumicato, lingua salmistrata, salsicce di fegato e Würstel con crauti e Knödel.

23 settembre 2022

I cjarsons del Friuli montano

Questi ravioloni originari della Carnia e della terre alpine si sono poi diffusi nella pianura friulana...
cjarsons
Sono dei grossi ravioli di pasta di grano (un tempo anche di patate) dotati di un robusto ripieno, che può spaziare dal salato al dolce. Varianti a parte, quello che non cambia é la forma dell'involucro. Assaggiati per la prima volta al ristorante "Al Pozzo" di San Lorenzo, che é vicino a Basovizza e si affaccia sulla Val Rosandra.
cjarsons
La pasta viene fatta con farina, acqua e olio e un tempo veniva realizzata
anche con le patate
Sono originari delle zone montane della Carnia, la parte montana della regione Friuli Venezia Giulia. La cucina carnica è rimasta fedele alle tradizioni sia nelle componenti che nei metodi di lavorazione.
cjarsons
Il ripieno salato è costituito da erbe spontanee, patate, uvetta e cannella.
Dopo la cottura in acqua salata sono conditi con il burro fuso e la ricot-
ta affumicata grattugiata.
👉La ricetta dei cjarsons é volatile: nasce, infatti, come preparazione povera, fatta con quello che c'era a portata di mano, che naturalmente, cambiava secondo la stagione e la condizione economica famigliare. Oltre che in base al periodo storico.
👉Le varianti: c’è chi fa la pasta solo con la farina, chi con le patate lesse, chi con entrambe ma in proporzioni diverse. E anche sul ripieno le opzioni sono molte e diverse: c'é chi predilige il salato puntando su mix sempre nuovi di erbe e chi invece sceglie il dolce e aggiunge biscotti sbriciolati, cioccolato, fichi secchi, rum e quanto d'altro di dolce abbiamo in casa.
I grossi cjarson del Friuli montano, ossia della Carnia, sono simili agli Schluzkrapfen, le mezzelune ripiene sudtirolesi, ma anche ai momo della lontanissima cucina nepalese e tibetana che vediamo nella foto qui sopra.

17 maggio 2022

La "Vegeta" è stata il condimento nazionale della ex-Jugoslavija (oggi c'è anche senza glutammato)

E' un mix di verdure disidratate tramite un processo di arrostimento e che successivamente vengono ridotte in polvere.
E' stata a lungo l'aromatizzante tuttofare delle casalinghe e delle mense popolari della Jugoslavija socialista, più ancora di quanto sia stata e rimanga ancora oggi la vecchia tedesco-tirolese salsa Maggi. Il condimento tuttofare chiamato Vegeta, é prodotto principalmente dal colosso agroindustriale croato Podravka.

 La magica Vegeta viene aggiunta praticamente a tutto: minestre, pollo,
carne, pesce, stufato, pasta, insalata, risotto...
La Podravka ne produce anche una versione "msg free" (senza glutammato). Ma è sempre e solo lei: la Vegeta della vecchia Jugoslavija, che fu creata nel 1959 dalla scienziata Zlata Bartl (che era stata dapprima militante fascista fra gli Ustascia, e che dopo la guerra WW2 venne riabilitata e glorificata come "zia Vegeta").
Si continua a farne ampio uso nelle manestre, le zuppe o minestre conta-
dine della cucina tradizionale istriana.
👉La Vegeta è prodotta principalmente dal colosso agroindustriale croato Podravka che, in omaggio alle attuali tendenze salutiste, ha in catalogo anche una versione senza glutammato msg-free ("msg" sta per "monosodium glutamate"): "nessun sapore artificiale, no conservanti, no OGM, nessun ingrediente animale, senza glutine, senza lattosio, senza grassi". Con tutti questi "senza" vien da chiedersi con che cosa sia fatta...

14 aprile 2022

La potica slovena, che noi chiamiamo putizza

Fra Fiume e Trieste si chiama "putiza" o anche "putizza" ma è sempre la stessa e si pronuncia anche nello stesso modo.
merenda con putizza
La "putizza" in un paniera pasquale, con le uova sode, il pane scuro e il prosciutto del Carso. In evidenza i fiori gialli del tarassaco, araldo di Pasqua e di primavera. La versione natalizia della putizza (con le noci) si chiama oresgnazza.

putizza
Nell'Ottocento coesistevano due modi di fare la potica: o come un rotolo
di pasta dalla forma allungata (più tradizionale) o come una torta con un
buco nel mezzo (più modernista"). La forma col buco prevalse a cavallo
tra il XIX e il XX secolo.
Questo dolce tradizionale è diffuso fra Trieste, Gorizia e il mondo alto dei paesi carsolini.
E' una preparazione casalinga caratterizzata dagli abbondanti ripieni che veniva preparato per le feste e le celebrazioni religiose come Natale e Pasqua.
👉La potica sembra derivare da certe ancor più vecchie torte di pasta arrotolata e pare venisse menzionata per la prima volta nel 1575.
👉Era nata come una torta riservata alle classi alte, ma nel corso dei secoli ha poi guadagnato popolarità anche fra la popolazione cittadina e tra i contadini.

23 dicembre 2021

Il dimenticato "amprech" fiumano, il soffritto di farina che si usava per rinforzare le minestre

Serviva per dare corpo e sostanza alle minestre in genere, un soffritto tuttofare a base di farina ed era usato come addensante.
E' un disfrito (soffritto) a base di farina abbrustolita. La farina arrostita (o ajnpren) è molto versatile se usata come legante. Nel riquadro: qui é usato per la jota (nella ricetta di Maria Stelvio) che ho provato a rifare a casa mia. Il nome viene dal verbo tedesco einbrennen (abbrustolire).
Olio, farina e uno spicchio d'aglio... Ma ai tempi era più
carico: burro, o sego, o strutto, o lardo, o pancetta...
L'ajnpren o aiprem o ancora amprech era un composto che fungeva da base legante, o addensante, per salse, sughi, vellutate e minestre legate, ottenuto miscelando una parte di farina con una parte, di uguale peso, di burro fuso o strutto o ancora olio.
Il termine sembra derivare dal tedesco "Einbrennsuppe", minestra di farina tostata e acqua.
👉"La mia mama diseva ainprech ovvero el disfritto.... per far fisse le minestre (pasta e fasoi, risi e bis)...."
👉"Tute le mame e none le faceva le minestre con l'ajnpren per farle più fise. Noi fioi ciamavimo anche "zarostani", un termine che significava soffritto, abbrustolito, o ancora brodo brustolà".
👉"Me ricorda che la mama comprava sevo, grasso de bestia, dal macellaio e quel dopo un certo procedimento diventava distruto,

10 dicembre 2021

La jota cucinata con la ricetta di Maria Stelvio (*)

Nella 116esima scheda del suo "La cucina triestina" c'è questa ricetta per la jota, la minestra di crauti alla friulana.                  (*) Maria Stelvio è la Pellegrino Artusi della cucina triestina.
La minestra jota nasce come miscuglio di avanzi delle cucine povere e in pratica ha tre elementi di base: fagioli, patate e poi, soprattutto, i cappucci o i cappucci acidi (cioè marinati sotto sale: si tratta dei famosi crauti), con l’aggiunta di un soffritto di farina (il "soffritto scurissimo").

14 agosto 2021

Kulenica: é sempre lui, il formidabile salamone kulen, ma in un formato più "maneggiabile"

Anche lui parecchio speziato, è la versione compatta del giustamente famoso, blasonato ma ingombrante kulen della Slavonia.
E' un robusto salame da taglio, piccante (al peperoncino) e affumicato. Si tratta del parente minore del kulen della Slavonia (o Barania), che ha dimensioni decisamente più importanti.
E' come il kulen della Slavonia solo che è in una versione più pic-
cola, diciamo pure compact, chiamata anche kulenova seka.
Dimensioni a parte, questo kulen "compatto" si fa apprezzare. Lo fa alla grande: ha passato il test del tagliere e anche quello del panino da zaino.
Molto saporito e speziato, all'aspetto somiglia a certi nostri salumi campani e calabresi.
👉Quello in fotografia è un prodotto industriale (della Pik di Vrbovec, una cittadina nei dintorni di Zagabria) e in etichetta viene dichiarato "totalmente privo di esaltatori di sapidità, coloranti artificiali, glutine e soia, con il 25% di sale in meno". Mancano però indicazioni più precise sia sulla composizione delle carni che sulla loro origine. Non è una mancanza secondaria, ma é così, prendere o lasciare...
Sia il grosso kulen che la più snella kulenica sono adatti ai panini col salame da portarci dietro nelle nostre scarpinate con lo zaino (qui in preparazione sul tavolo dell'orto con gli adattissimi peperoni).