26 novembre 2024

La penisola istriana nella collana "Le cento città d'Italia illustrate" dell'editore Sonzogno

E' la vita di un secolo fa quella fissata nelle fotografie in bianco e nero che accompagnano il testo. Scatti unici, preziosa documentazione fotografica dell'Istria degli anni Venti del Novecento.
La mappa dell'Istria sulla copertina del volume della collana "Le cento città d'Italia
illustrate
" delle edizioni Sonzogno di Milano.
Il fascicolo dedicato alla penisola istriana era composto da 16 pagine nel formato 22 x 30 centimetri ed era il 72° della serie. Era ricco di tantissime fotografie.
Nella stessa serie furono pubblicate monografie di molte altre località del Friuli-Venezia Giulia: Trieste, Pola, Istria, Fiume e le Isole, Gorizia, Zara, Monfalcone, Grado, Udine, Aquileia, Cividale, La Carnia, Pordenone, Sacile.
Il fascicolo "Fiume - Abbazia e le isole" fu pubblicato nel gennaio del '29 con il numero 73 e posto in vendita al prezzo di 50 Lire.
Costituita da 300 fascicoli monografici, per un totale di 5.400 pagine, usciti settimanalmente durante un periodo di quasi sei anni, la collana è di fatto la maggiore e più organica documentazione fotografica dell'Italia degli anni Venti del Novecento.




23 novembre 2024

Lungo la Via della Bora: una camminata da Trieste a Cherso, che taglia l'Istria da nord a sud

Una traversata a piedi da Trieste all’isola di Cres (Cherso) in 2 tratte e 6 tappe - camminata e raccontata Paolo Rumiz.
La via della Bora percorsa a piedi da paolo Rumiz.
La penisola istriana da Nord a Sud: una traversata a piedi da Trieste a capo Promontore compiuta del 2012, affiancata ad un altro trekking del settembre 2011, quando Rumiz s'era diretto alla volta di Cherso.
👉Il tutto viene tenuto assieme e confezionato in un percorso in sei tappe che attraversano quel selvaggio mondo fuoriporta che si chiamava Ciceria, per scavalcare l'acqua e arrivare poi fino a Cherso, l'isola dei grifoni e della marineria lussignana, una delle isole della bora.
👉Due itinerari assemblati fra loro che ci anno lume mentre percorriamo le stradine che tagliano i paesaggi, e che ci aiutano a riannodare i fili intrecciati delle tante microstorie locali.

Ma soprattutto: è una insperata fortuna che nel web si possa trovare tutto questo riassunto in un PDF liberamente consultabile.

20 novembre 2024

La taverna dell'Ornitorinco, che a Fiume divenne luogo d'incontro dei dannunziani più scalmanati

Nei sedici mesi dell'avventura dannunziana una piccola locanda sul porto diventò il ritrovo dell'ala più estrema, futurista, visionaria ed eversiva dei giovani legionari fiumani che impazzavano in città.
Con il numero 1 il modesto edificio di tre piani fuori terra che ospitava il cenacolo dei legionari ammessi nel cerchio magico di D'Annunzio. Con il 2 il Palazzo Modello e con il 3 l'ingresso al Corso, il salotto di Fiume.
Al numero 5 di Adamiceva Ulica c'è ancora l'edificio di tre piani fuori ter-
ra costruito in zona portuale negli anni '70 del 1700. Un secolo e mezzo
dopo qui c'era la taverna "Al Cervo d'Oro", un locale da angiporto che i
legio
nari più esaltati e ben introdotti nel cerchio magico di D'Annunzio
eles
sero a loro sede informale.
Questa taverna con camere fu scoperta una sera d’autunno da Ludovico Toeplitz che si era perso nei vicoli della città vecchia. Aveva un nome altisonante, "Il Cervo d’Oro", e pochi locali male arredati, tavoli poveri, pareti annerite.
I più insofferenti e più filibustieri avevano iniziato a frequentare il Cervo d'Oro poi la ribattezzarono sul campo dei bagordi e degli eccessi. Divenne così "L'ornitorinco".
Ci andavano personaggi come Guido Keller, Giovanni Comisso, Leone
Kochnitzky, Ludovico Toeplitz, Mario Carli e da ogni sorta di sognato-
ri, cocainomani, disadattati e umanità varia di entrambi i sessi. Ci anda-
va anche Gabriele D'Annunzio e Luisa Baccara. Qui il Vate mangiava
il famoso risotto di scampi e beveva il "Sangue Morlacco" dei Luxardo.

Scriverà Giovanni Comisso: “All’Ornitorinco il Sangue Morlacco riceve
la sua denominazione. Innocuo Sherry Brandy, discretamente appiccico-
so, estremamente discutibile, sotto nessun aspetto il liquore si merita tan-
to nome; sennonché un giorno un quotidiano britannico rese di pubblica
ragione come D’Annunzio fosse “un tiranno barbaro che succhiava il san
gue dei Morlacchi”. La trovata ci tenne allegri e il Comandante impose
di nuovo il nome al falso Sherry Brandy”
.
👉"Sarebbe una bettola da dimenticare, se non servisse un ottimo risotto agli scampi. Ludovico Toeplitz ci porta gli amici della Segreteria speciale, che decidono di farne il loro covo. Sarà un’oasi libera dalla disciplina e dal Palazzo. Si fanno riservare una saletta al primo piano, la decorano con tappezzeria di cotonina rossa, candele, rami d’alloro. Keller sceglie come centrotavola un ornitorinco impagliato, saccheggiato in qualche museo di storia naturale. Sostiene che potrebbe essere il simbolo del Comandante: «Ha una corazza eburnea spoglia di peli come la tua testa», gli dice. L’insolenza e l’idea di un circolo indipendente piacciono a d’Annunzio, che ribattezza il locale «La taverna dell’Ornitorinco» e ci va spesso, per fuggire dall’«atmosfera deprimente della caserma carica di invidie e pettegolezzi». Qui è libero di scherzare, ridere, incontrare giovani esaltati e ragazze esaltanti. Intorno alla saletta e ai frequentatori

11 novembre 2024

L'Hotel Gomzy, giusto di fronte alla stazione della Transalpina ad Opicina (e c'era anche il tram)

Venne costruito dell'imprenditore Antonio Gomzy, che era un tipo lungimirante: in zona fu il primo albergo con l'illuminazione elettrica.
L'Hotel Gomzy in una rara cartolina d'epoca. Come si vede si trovava e-
sattamente di fronte alla stazione della Ferrovia Transalpina ed anche al-
la fermata della tramvia Trieste-Opicina.
L'Hotel Gomzy si trovava in via della Ferrovia 37 ed era di proprietà di Antonio Gomzy (1871-1918), un albergatore di origine ungherese che nel dicembre 1910 fu il primo a utilizzare l'energia elettrica in quanto si era allacciato alla rete della Società Anonima delle Piccole Ferrovie (negli anni 1921-1929). Passò poi alla vedova Antonia e cambiò il nome in "Hotel Opcina". A Opicina Antonio Gomzy possedeva anche delle vaste cave di pietra, attive fino ai primi anni del novecento. 
Una sua pubblicità sulla stampa del 1909. L'hotel è' stato anche oggetto
di un 
racconto diventato libro.
👉Stava di fronte alla stazione della Ferrovia Transalpina e anche alla fermata della "Elettrovia prolungata" cioè del mitico Tram di Opicina (ma solo negli anni 1906-1936, quando la fermata venne soppressa).
👉Nota: la stazione della Transalpina fu aperta il 23 luglio 1906 assieme alla tratta Jesenice-Trieste Sant'Andrea (Wocheinerbahn) della Ferrovia Transalpina e veniva gestita dalle Ferrovie imperiali dello Stato austriaco; ebbe la denominazione di Opcina Staatsbahnhof (“Opicina stazione delle Ferrovie dello Stato”) per distinguerla dallo scalo Opcina Südbahnhof (“Opicina stazione della ferrovia Meridionale”) che sorgeva non poco distante lungo la ferrovia Meridionale che invece era della società privata Südbahn. I due scali furono congiunti da una linea di raccordo, lunga 2,033 chilometri e di forma semicircolare, che venne anch'essa inaugurata il 23 luglio 1906.
Il tratto iniziale della ferrovia Transalpina Transalpina., dalla stazione di Trieste Campo Marzio (vedi altre notizie qui) fino a Villa Opicina.

25 ottobre 2024

Il territorio italiano di Zara (1920-1947)

Dopo la prima guerra mondiale la città divenne un’exclave italiana, capoluogo della Provincia di Zara, circondata dalla Dalmazia jugoslava.
Lo stemma e l'estensione della exclave italiana istituita dal Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920, firmato mentre le truppe irregolari di D'Annunzio spadroneggiavano a Fiume.
Zara era molto conosciuta per i suoi liquori aromatizzati con la locale ci-
liegia della varietà marasca. Nella foto si vede lo stabilimento del mar-
chio leader, la "Luxardo", che acquistò fama internazionale grazie al suo
Maraschino e, durante la impresa di Fiume, per il suo Sangue Morlacco.
Per secoli fu una delle città più importanti della Repubblica di Venezia, di cui fece parte fino alla sua caduta. Dopo una breve parentesi napoleonica passò agli austriaci.
👉Alla vigilia della prima guerra mondiale con il Patto di Londra fu promessa all’Italia, in caso di vittoria, poco più della metà della Dalmazia, inclusa Zara. Ma a conflitto terminato le nuove pretese
Un pacchetto di "Principe di Piemonte" prodotto nel 1933 dalla Manifat-
tura Tabacchi Orientali di Zara nel 1933, una delle tante in attività a Za-
ra quando faceva parte del Regno d'Italia e godeva del privilegio di esen-
zioni fiscali ad hoc (una sorta di "porto franco" in scala ridotta.
italiane su Fiume (che non faceva parte del "patto") e l'occupazione da parte di Gabriele Dannunzio cambiarono le cose. Dopo estenuanti discussioni fra i vincitori della guerra, il Regno d'Italia siglò un patto bilaterale con gli jugoslavi, che assegnava la città di Fiume all'Italia in cambio della maggior parte della Dalmazia con la sola eccezione di Zara, che divenne capoluogo di una minuscola provincia italiana, istituita nel 1920 e che era fisicamente separata dal resto d'Italia. Secondo il trattato di Rapallo che lo assegnò all'Italia, è di 110 chilometri quadrati e comprende , oltre a Lagosta e isole adiacenti, una ristretta zona costiera che si affaccia sul Canale di Zara, di fronte all'Isola di Ugliano, per una lunghezza di 9 km. La targa automobilista della provincia era ZA.
👉Il regime fiscale privilegiato spiega perchè a Zara durante il suo periodo

18 ottobre 2024

Il futurista Mario Carli, che divenne Ardito nelle trincee della WW1 e fu poi Legionario a Fiume

Scrittore, giornalista di successo e poeta, aderì sin da giovane al movimento futurista di Marinetti dove si collocò nell'ala anarchico-rivoluzionaria, interpretandone l'anima più estrema, violenta, anarchica e mangiapreti. Ammirava la Russia di Lenin.
"Ritratto aereo di Mario Carli" di Gerardo Dottori (1931).
Acceso interventista, partì volontario nella prima guerra mondiale riuscendo a farsi arruolare nei reparti di Arditi, gli incursori di prima linea ideati dal generale Capello, dove trovò l'ambiente elitario, indocile, rissaiolo e antiborghese a lui congeniale.
👉Fu a Fiume con Gabriele D'Annunzio, che però ne temeva l'estremismo "di sinistra". Carli, che faceva parte della frangia più “scalmanata” dell’impresa, tentò di tradurre la temperie fiumana in un organico progetto rivoluzionario, teso a rovesciare il regime di democrazia borghese e parlamentare in Italia.
Mario Carli quando era capitano degli Arditi.
👉A Fiume diede vita alla rivista militante "La testa di ferro" spingendo con ciò il Vate a spostarne la redazione a Milano per allontanarlo da Fiume. Oltre alla firma di Filippo Tommaso Marinetti sul giornale comparvero quelle di Alessandro Forti, Umberto Foscanelli, Cesare Cerati, Emilio Settimelli, Vincenzo  Fani Ciotti detto Volt, Piero Belli, Leòn Kochnitzky, Guido Keller, Giovanni Comisso. Nella sua persona confluirono arditismo, futurismo, fiumanesimo e fascismo.
Mario Carli nella sede bolognese del quotidiano "L'Impero",
fondato nel 1923, con la squadra d'azione "Me ne frego".
«Prendendo la Russia come modello tipico di rivoluzione sociale, si vede anzitutto che il bolscevismo è stato un movimento, non tanto grettamente espropriatore, quanto rinnovatore, perché ha voluto ricostituire in base a ideali vasti e profondi l'edificio sociale, assurdamente sbilenco sotto il decrepito regime zarista. Inoltre il bolscevismo russo, animato da un potente soffio di misticismo, non si è mosso con quei criteri di pacifismo codardo, che fanno dei cortei proletari italiani altrettante processioni d'innocenti agnellini (...). Il popolo russo ha saputo anche difendere la sua rivoluzione, e gli eserciti di Lenin si sono battuti, spesso, vittoriosamente, contro i bianchi paladini della reazione. Assodato poi che i socialisti italiani non credono nella rivoluzione, non la vogliono e non fanno nulla per provocarla, possiamo stabilire in modo definitivo che noi legionari non avremo mai alcun contatto, e neppure alcun cenno d'approccio, con quella ottusa cocciuta grettissima cretinissima Chiesa che è il Partito Ufficiale Socialista italiano...» (Mario Carli, "Con D'Annunzio a Fiume", Milano, Facchi Editore, 1920, pag. 106-107)

3 ottobre 2024

Le due montagne più alte dell'Istria sono il Monte Maggiore/Ucka e l'Alpe Grande/Planik

Sia il Monte Maggiore, che con i sui 1.401 metri domina il Golfo del Quarnaro, che il Planik (m 1.272) fanno parte dell'Istria bianca, la regione storica della Ciceria o Cicaria o "altipiano dei Cici".
L'Altipiano dei Cici (qui in una carta del 1903) fa parte della rocciosa e calcarea "Istria bianca" che corrisponde all'area dei Monti della Vena. Nota: le linee rosse rappresentano la rete ferroviaria istriana esistente all'epoca.

La Ciceria corrisponde all'Istria Bianca, che si ag-
giunge all'Istria Grigia e all'Istria Rossa. La tripar-
tizione ha natura geologica-botanica ma è entrata
di prepotenza fra i luoghi comuni (specie italofoni).
La Ciceria-Čičarija, detta in italiano anche Monti della Vena o Altopiano dei Cici è una regione storica costituita da una catena montuosa che si estende per circa 35 chilometri nell'Istria settentrionale. Il suo verde manto boscoso è discontinuo, interrotto da bianchi lembi di roccia calcarea, perciò questa parte dell'Istria viene chiamata Istria Bianca (e comprende anche il costiero Monte Maggiore- Učka, la vetta più elevata dell'intera Istria).
👉E' abitata prevalentemente da croati ma nel villaggio di Žejane sopravvive una esigua minoranza romena, erede dei Vlasi o Valacchi che qui vengono chiamati Čiči e che nei secoli passati abitava gran parte del Carso e conservano una forte identità nella loro lingua neo-latina (detta anche istro-rumena).
👉Il tetto dell'altipiano della Ciceria è il Planik (Alpe Grande, 1.273 metri). Da lassù la vista è magnifica da ogni parte. Qui si capisce benissimo il perchè del nome italiano, un po’ esagerato forse, e il perché dei tanti ispirati racconti sulla rivista alpinistica “Liburnia”, il cui primo numero uscì nel lontano 1902. L’Alpe Grande divenne particolarmente popolare come meta di escursioni dopo che nel 1913 lo descrisse nella sua “Guida di Fiume e dei suoi monti” Guido Depoli, redattore della “Liburnia” e per lunghi anni segretario e poi presidente del Club Alpino Fiumano.