Altrimenti noto come "gnocchi al sugo alla damata" o "goulasch alla dalmata" questo piatto è di lunghissima e laboriosa lavorazione...
La pancetta, che deve essere di buona consistenza, va tagliata a strisce grosse e la stessa cosa bisogna fare con l'aglio. |
...che è stata magistralmente evocata, ambientata e ricostruita da Enzo Bettiza:
"L’ultima delle cinque leccornie sinfoniche, la pastizada, che in Austria diventava Sauerfleisch, richiedeva anch’essa una preparazione iniziale lunga, fermentante, di almeno quarantott’ore. Ho messo la pastizada al quinto posto soltanto per ragioni di ordine espositivo; ma essa rappre-sentava il piatto senz’altro più antico e più caratteristico della cucina di casa nostra e della cucina dalmata in genere. Poteva ricordare a prima vista un brasato di manzo. In realtà era un’altra cosa: era carne di manzo in salmì; manzo elaborato alla stessa maniera della lepre, della beccaccia del capriolo. Il taglio di bue, che doveva essere speciale, carente di nervature grasse, compatto e morbido ad un tempo,
Mettere la carne in un grande contenitore, aggiungere le spezie fresche o essiccate e versare aceto di mele. La carne nella marinata più volte. Va lasciata a marinare nell'aceto per una notte intera. |
veniva infatti preparato con imedesimi ingredienti usati nella lardellatura della lepre nera (bisognava “spicarla”, cioè lardellarne le carni aspre, fibrose e spesso nauseabonde inoculandovi, in dosi ben misurate, schegge di
La mattina dopo la carne va cosparsa con un mix di sale e pepe. |
lardo e di sale marino, spicchi d’aglio e di pancetta, con grani di pepe naturale e qualche chiodo di garofano) con una dose più cospicua di chiodi di garofano. Poi, proprio come la lepre, il blocco di carne “spicato” col lardo, l’aglio andava lasciato frollare per due giorni dentro una emulsione di vino e aceto; quindi veniva arrostito e, infine, lentamente consumato nello stesso liquido asprigno in cui era rimasto immerso prima della cottura. Il risultato terminale era quello di una metamorfosi quanto mai provocante e invitante il palato all’avventura: una carne
non selvatica che, artificialmente conciata e scurita, sentiva quasi di selvaggina, sapeva come la lepre di acidulo raffinato e speziato, e galleggiava semiaffogata in un sugo marrone simile all’intingolo cupo del salmì…"
(Enzo Bettiza, “Esilio”, Mondadori, Milano, 1998, pag. 226)
A cottura terminata e senza separare la carne dal sugo, tagliarla a fette dello spessore da 1,5 a 2 centimetri. |
"...dai noi quel singolare salmì di bue accoglieva nel proprio sugo una man- ciata di penne lisce cosparse di parmigiano grattugiato." |
Secondo lo scrittore Enzo Bettiza, nato e cresciuto a Spalato e sottile conoscitore della cucina locale, "Nella vecchia cucina dalmata, principalmente basata sul piatto forte di carne o pesce [...] le paste asciutte, poco diffuse nello loro italica varietà, erano per lo più considerate alla stregua di contorni secondari.".
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