E' un occhio d'aquila appollaiato sul margine del ciglione carsico. Un posto da dove si domina Trieste. Da quassù la città e le acque di Muggia e Capodistria sembrano davvero a portata di mano.
Per la sua posizione geografica, fu oggetto di contese nei continui conflitti di interesse che contrapposero Venezia a Trieste durante le guerre fra la Serenissima Repubblica e gli Asburgo (da qui si controllava anche il commercio del sale che si produceva nelle saline di Zaule e transitava lungo la Val Rosandra). |
Dopo gli anni della dominazione fascista la rocca venne a trovarsi lungo la linea di confine della nascente "cortina di ferro": il confine tra Italia e Jugoslavija negli anni della guerra fredda passava proprio da qui: ver- so Trieste c'era la zona A e verso l'Istria la zona B. |
Così devono aver pensato i comandi partigiani di Tito, che vi insediarono la sede della '"intelligence" ed anche quella, inevitabilmente connessa, di tribunale del popolo quando erano proiettati nel sogno inconfessato del "Trst je nas" (Trieste è nostra).
Era un punto di vista che vedeva, come Mao Tze Tung del resto, le città come espressione della campagna circostante, e quindi subordinate ad essa.
Il suo aspetto odierno differisce notevolmente da quello riportato dallo storico Valvasor nel suo "Gloria del Ducato della Carniola" (1689) dove descrive nel dettaglio anche la vicina Grotta Santa. |
Una visione agli antipodi dall'affarismo commerciale e finanziario della cosmopolita borghesia triestina, che dipendeva dai traffici del porto.
👉E intanto la ricca, commerciale e cosmopolita Trieste veniva ogni giorno alimentata dal retroterra contadino che era compattamente slavo e che le forniva quanto serviva per vivere: latte, verdura e carne in anni in cui nessuno aveva ancora in casa il frigorifero.
San Servolo in un'altra stampa del Valvasor (1689). |
Attualmente è di proprietà privata ed è stato trasformato in ristorante (che ne deturpa l'interno).
La storia del castello di San Servolo inizia nel Decimo secolo.L’insediamento, il cui nome deriva dal santo compatrono di Trieste assieme a San Giusto, viene nominato per la prima volta nel 1040.
Dopo la pace di Worms, la fortezza divenne sede di una signoria e prese a vivere di agricoltura: vi facevano capo i territori del vecchio agro triestino; recuperò inoltre i villaggi di cui era stata spossessata nel passato.
La torre originaria venne eretta per arginare l’arrivo degli ungari che dalla prima metà del X secolo iniziarono a depredare i territori più floridi del centro Europa.
Signoria vescovile dal 948 fu poi ceduta al Comune di Trieste, divenendo ben presto luogo conteso fra Austria e Venezia. Nel 1368 cadde infatti in mano al comandante veneto Cresso Molin che vi edificò delle solide mura e un grande bastione rotondo. Dopo alterni cambi di proprietà con i triestini, verso la fine del Quattrocento tutta la vallata sottostante fino alla foce del torrente Rosandra, che segnava la proprietà austriaca, fu riconquistata dai Veneti. Dopo il consolidamento delle cinte murarie si dotò il castello di una capiente cisterna d’acqua per fronteggiare i lunghi assedi.
Con l’avvento del papa-guerriero Giulio II i confini fra Austria e Venezia divennero però incandescenti e tra Trieste e Muggia (di proprietà della Serenissima dal 1420) scoppiò una rabbiosa guerra per imporre la propria influenza e controllare il fiorente mercato del sale. Nel 1508 l’esercito veneto dopo un bombardamento su Trieste con fuochi d’artiglieria riuscì a entrare nelle mura di Trieste e a impossessarsi della fortezza di San Giusto. Per reagire al dominio straniero e a una terribile epidemia di peste che decimò la popolazione, nel 1511 l’esercito imperiale guidato da Cristoforo Frangipani e i triestini capitanati da Nicolò Rauber raggiunsero la valle di Zaule con l’intento di espugnare i baluardi a difesa del confine veneto e sferrare l’assalto finale a Muggia. Dopo le prime conquiste le legioni si trovarono dinanzi la fiera resistenza dei muggesani che con il capitano Giovanni Farra e gli aiuti via mare degli istriani si batterono “come draghi” ponendo fine all’assedio. Per i servizi resi all’Impero il capitano Rauber ottenne da Carlo V la Signoria di San Servolo ma già pochi anni dopo un esercito di 600 istri-veneti per volere del Doge attaccò tutta la piana di Zaule e distrusse le saline trasformandole in una palude improduttiva.
In seguito a un ulteriore battaglia che causò la perdita di ben 3000 fanti veneti, il castello fu acquistato dal capitano barone Benvenuto Petazzi, nominato nel 1630 conte di San Servolo.
Estinta la discendenza dei nobili Petazzi, la Signoria passò a varie famiglie italiane con alterne vicissitudini tra cui un incendio sviluppatosi all’interno delle mura per la caduta di un fulmine. Dopo diversi restauri la roccaforte venne abitata dal barone Demetrio Economo, ultimo proprietario prima della sua progressiva rovina per incuria.
Tra la foltissima vegetazione a valle della rupe di San Servolo è stato scoperto in tempi recenti un accesso nella sottostante grotta carsica che tramite un’oscura scala abbarbicata tra le rocce, in seguito purtroppo ostruita, conduceva alla sovrastante piazza d’armi, proprio come riferito nel celebre scritto del 1689 di J.W. Valvasor “Die Ehre des Hertzogthums Crain”. (testo tratto da http://quitrieste.it/il-castello-di-san-servolo/)
Nessun commento:
Posta un commento