Negli anni '70 era pensionato da un pezzo. Operaio nel cantiere navale di Fiume, dove aveva iniziato quando c'era ancora l'Italia, nei primi anni '30.
Uomo maturo al momento dell'arrivo delle truppe titine nel 1945, aveva scelto di rimanere nella sua città. Nella Jugoslavija comunista di Tito. Da quanto ricordo delle lunghe chiacchierate che facevamo nelle assolate estati fiumane dei primi '70, direi che non si era mai pentito.
Nè lui nè la sua compagna Peppina che, ad onta del nome, era di stirpe slava. Di estra-zione contadina, rideva quando raccontava come da Matulje fosse scesa a Fiume attratta dal fascino modernista della città, un mondo che Julio sembrava offrirle. Da decenni abitavano nei casermoni popolari del quar-tiere Čurbek, giusto dietro la casetta liberty di mia zia Amelia. Da tempo ricevevano i canali TV italiani, telegiornali compresi. Non ci invidiavano, erano informati ma non in-tronati. Guardavano volentieri Raffaella Carrà perchè era allegra ma non la consi-deravano un modello di vita. Li ricordo con rimpianto. Persone oneste e positive, ben diverse dai fuggitivi in camicia nera che affollano il piagnisteo giuliano-dalmata.
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