5 maggio 2013

Julio Jurmann, operaio italiano, ebreo e comunista nella Jugoslavija di Tito

Negli anni Settanta era pensionato da un pezzo. Operaio da sempre nel cantiere navale di Fiume, dove aveva iniziato a lavorare quando là era ancora Italia, probabilmente nei primi anni '30.
Il vecchio Julio in uno scatto dell'estate del 1968,
quando era già in pensione e passava volentieri
qualche ora in nostra compagnia. Il baschetto in
testa, come usava negli anni in cui aveva lavorato
come operaio ai cantieri 3 Maj di Fiume-Kantrida.
Uomo maturo al momento dell'arrivo delle truppe titine nel 1945, aveva scelto di rimanere nella sua città.  Nella Jugoslavija comunista di Tito. Da quanto ricordo delle lunghe chiacchierate che facevamo nelle assolate estati fiumane dei primi '70, direi che non si era mai pentito.
Nè lui nè la sua compagna Peppina che, ad onta del nome, era di stirpe slava. Di estra-zione contadina, rideva quando raccontava come da Matulje fosse scesa a Fiume attratta dal fascino modernista della città, un mondo che Julio sembrava offrirle. Da decenni abitavano nei casermoni popolari del quar-tiere Čurbek, giusto dietro la casetta liberty di mia zia Amelia. Da tempo ricevevano i canali TV italiani, telegiornali compresi. Non ci invidiavano, erano informati ma non in-tronati. Guardavano volentieri Raffaella Carrà perchè era allegra ma non la consi-deravano un modello di vita. Li ricordo con rimpianto. Persone oneste e positive, ben diverse dai fuggitivi in camicia nera che affollano il piagnisteo giuliano-dalmata.

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