Nelle case di campagna veniva cotto nel forno domestico, che tutti avevano. In città, invece, si comperava nelle botteghe oppure si portava a cuocere dal pistòr, il panettiere, nella bottega più vicina.
Il pane di frumento era molto raro e pregiato. Si ricorreva a farine di ce- reali più poveri come il mais, la segale, la spelta, l'orzo, il sorgo. |
"Secondo la procedura tradizionale, la farina veniva impastata insieme al lievito, al sale e all'acqua tiepida (bollente per la farina gialla) in una conca rettangolare albòl o nacve, scavata da un unico pezzo di legno.
👉Si impastava con le mani o mediante un apposito bastone detto cròsola o krocula, munito di due sottili impugnature laterali e di una estremità a stampella che veniva appoggiata sotto l'ascella. La conca per impastare poteva anche essere incorporata nella madia per la farina, detta panariòl, panjarol o kudinje,
costituendone il coperchio a ribalta.
👉La madia era anche chiamata, per metonimia, con gli stessi termini usati per la conca.
Un oggetto che non mancava mai era la conca da impasto. La forza mo- trice di questa "impastatrice" era data dal lavoro di braccia delle donne. |
👉La madia era anche chiamata, per metonimia, con gli stessi termini usati per la conca.
Si usava disporre il pane a lievitare su di una apposito asse còncolo o konkolo, talvolta provvisto di scomparti rotondi, con il quale lo si portava poi a cuocere in fomo."
(liberamente tratto dal sito istriaontheinternet).
Si panificavano grosse pagnotte, adatte alle necessità di allora e non certo minuscole rosette o michette come si usa oggi. (foto di Lucija Lovrecic)
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