16 agosto 2014

L'apertura di Tito al turismo occidentale

I primi passi dello "yugoturismo" costiero furono d'impronta collettivista e sovietizzante. Poi, negli anni dell'autogestione, si lasciò briglia sciolta alla speculazione privata.
Turismo in Jugoslavija
Materiale turistico degli anni Sessanta che richiama la grafica delle coper-
tine di certi quaderni in uso nelle nostre scuole elementari del dopoguerra.
Nei primi anni Sessanta la situazione economica del paese era difficile, le ferite della guerra e i focolai di opposizione interna ancora non sopiti; tra i guai finanziarie c'era la scarsità di divise estere pregiate che, dopo il boicottaggio sovietico seguito alla rottura Tito-Stalin del 1948, erano indispensabili per gli approvvigionamenti sui mercati internazionali.
Fu soprattutto questo l'argomento a pesare sulla decisione di Tito, che accettò di dar corso all'idea di una compagna dei tempi della guerra partigiana:
Turismo in Jugoslavija
Nelle guide turistiche dell'epoca i nuovi centri turistici integrati, di solito
molto grandi e di impronta razionalista, venivano mostrati con orgoglio
e fungevano da biglietto da visita della Jugoslavija non allineata ed aperta
alla realtà internazionale.
attirare i turisti occidentali sulla costa sulla costa dalmata.
Sorsero come funghi enormi centri turistici integrati, hotel, campeggi, ristoranti, bar. Erano per lo più lontani dai centri abitati, in tratti di costa isolati e suggestivi.
Il secondo passo avvenne negli anni Settanta, con l'apertura del settore all'iniziativa privata: mutui edilizi agevolati a chi riservava una quota delle nuove abitazioni ad affittacamere, e sul litorale fu il boom delle
sobe, le Fremdezimmer. Fu anche il boom della speculazione edilizia in salsa socialista e auto-gestionaria.
Ma fu, soprattutto, un'alluvione cementizia che interessò tutti i centri costieri, chiudendo in molti casi l'accesso diretto al mare, a quelle baie e baiette che prima potevano essere raggiunte con facilità a piedi.

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